Aprile 2020, città di Lucca,
esterno giorno,
parla il viaggiatore
Mi sembra che dietro quello che vedo ci sia un altro paesaggio.
Reale o irreale non so dirlo.
E c’è ogni giorno, quando gli cammino al fianco.
Ci sei anche tu insieme a me, e forse non te ne accorgi.
Ti do del tu e ti dico che c’è un senso di presagio di cui ci eravamo dimenticati e che la città ha inciso sulle sue pietre, a suggerirci che l’uscita dal labirinto è una sintesi opportuna di emozione e mistero a partire propria da questa tua e anche mia sensazione di smarrimento, a ricordare, con le sue linee ben impresse nella sua geografia urbana, che la quarantena si vive regolarmente entro linee che sono le nostre frontiere – o chiamali limiti - da scardinare a partire da noi stessi, dall’interno della nostra presa di coscienza, che non si prende mai perché scappa, come il tempo.
La nostra malattia, il disagio quotidiano che ci rende incapace di vivere, il νόσος • (nósos) è la quarantena perenne che ci infliggiamo.
Non so come ma è passato attraverso lo specchio – chiamiamoli occhi - ha volato oltre i confini e ci ha richiamato a casa, se mai ognuno di noi, un giorno qualunque, se ne fosse allontanato.
Ed è stato così.
Oggi mi ha accolto diversamente la linea di frontiera della città, spogliata di ogni apparenza, e dove ci siamo svegliati tutti sospesi a un tacito evento.
Allora ci siamo trovati ancora più vicini nell’impellente necessità di rimanere distanti.
Un’inversione a V come vista ( o come Vita), un punto di fuga che non è stato più punto ma solo ”fuga” – restando – come le strade apparentemente infinite, disabitate, libere di far risuonare i passi pesanti dei pensieri. Non vi è alcuna via; è il nostro cammino a crearla
Testo a cura di Debora Pioli